Lei è Doina. Lei è una ragazza. Ha 21 anni. Vive a Roma. Ha due figli. Loro vivono in Romania. Lei fa la prostituta sulla Tiburtina. Vende il suo corpo. Si fa pagare. Manda i soldi a casa per mantenere i figli. È il 26 aprile del 2007. Doina è alla stazione di Termini, in compagnia di un’amica. Ha un battibecco con una ragazza. Lei è Vanessa, una studentessa di 23 anni. Il litigio si accende. Le due vengono alle mani. Doina conficca la punta dell’ombrello nell’occhio di Vanessa. Le perfora l’orbita. Le rompe un’arteria cerebrale. Lei e l’amica scappano. La polizia setaccia i filmati delle videocamere. La trovano tre giorni dopo a Macerata. Vanessa Russo è morta. Doina viene accusata di omicidio volontario. Chiede scusa, dice che non voleva ucciderla. Viene creduta. È omicidio preterintenzionale. Viene condannata a 16 anni di prigione. Sentenza definitiva nel 2010. Dal carcere Doina scrive al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Vuole rivedere i figli. Non riceve risposta. Lei si rimbocca le maniche. Studia. Scrive. Arriva seconda ad un concorso letterario riservato alle detenute. Il titolo del libro è “La ragazza con l’ombrello”. Si confessa. Lei non voleva uccidere. È successo. Vuole pagare. Il rimorso non la abbandonerà mai. Lei si comporta bene. Il giudice le concede la semilibertà. È il 2015. Trova lavoro in un ristorante di Venezia. Ritorna a una vita quasi normale. È felice. Passa una giornata al mare. Pubblica una foto in bikini su Facebook. Scoppia un putiferio. Il padre di Vanessa dice che è vergognoso. Dice che meriterebbe la pena di morte. Lei riceve minacce. Il suo profilo viene oscurato. Il giudice le toglie la semilibertà. Lei si scusa. Non sapeva di non poter usare i social. Non voleva fare del male a nessuno. È il 25 giugno 2019. Il tribunale di Venezia decreta la fine della pena. Doina Matei è libera. Con quattro anni d’anticipo, per buona condotta. Era una ragazza che si prostituiva sulla Tiburtina. Ora è una signora. Lei dice che ora vuole solo essere dimenticata.
Lei è Doina
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