Lei è Denise. Ha 19 anni. Vive a Napoli. Studia all’università, ha una bella famiglia, è molto legata al padre. Il sabato dopo pranzo lavano i piatti insieme, parlano, Denise ascolta i suoi aneddoti e muore dal ridere. Lui è la sua roccia. È il giugno del 2016. Il padre di Denise ha dei forti dolori al braccio destro. Fa dei controlli. È un tumore. Ha toccato anche il polmone. Denise è spaventata, ma il padre la tranquillizza. Andrà tutto bene. Passano i mesi. Il padre di Denise peggiora, gli amputano il braccio. Denise non riesce a crederci, la paura di perderlo la tormenta. Diventa la sua ombra. Lo accompagna a ogni visita. Lo osserva mentre consola gli altri pazienti in ospedale, mentre va al lavoro e guida con un solo braccio, senza mai lamentarsi. Si chiede come ci riesca. È il 2017. Le cure non fanno effetto. Il padre di Denise viene ricoverato. Denise prende i libri e si piazza nella sua stanza. Studia. Lui le dice di tornare a casa, che tanto sta bene, ma lei non si schioda. Giorno dopo giorno vede il suo adorato papà diventare debole, tanto da non riuscire più a farsi la barba. Denise lo rasa, lo veste, lo aiuta a mangiare. Si prende cura di lui come un bambino. Ma quando entra nella sua stanza e lo trova attaccato a un respiratore ha un crollo. Lo guarda. Apre gli occhi. Non è più il papà forte e indistruttibile che conosceva. Denise ha il cuore a pezzi. Vorrebbe correre tra le sue braccia e sentirsi dire che andrà tutto bene. Ma no, adesso tocca a lei. Tira fuori tutta la forza che ha dentro. Sorride. Andrà tutto bene caro papà. Lui le stringe la mano. Poco dopo ha una crisi respiratoria, entra in coma. I medici lo danno per spacciato. Denise non ha più paura, gli resta vicino. Papà non puoi andartene, non ti ho salutato. Il padre apre gli occhi, la guarda. È vivo. Denise lo veglia tutta la notte. Ascolta il suo respiro. Lui le fa una carezza, si addormenta. Il giorno dopo muore. Denise è a pezzi, ma va avanti. Suo padre le ha insegnato a trasformare il dolore in forza.
Lei è Denise
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