Lei è Bianca. Ha 23 anni, vive a Bologna. È il 28 febbraio. Sono le 3 di notte. Bianca è a casa, inizia a tremare, ha le vertigini. Prende il termometro, misura la febbre. 39 e mezzo. Chiama il 118.
Le fanno domande su domande, dove è stata, con chi è entrata in contatto, quali sono i sintomi. Nel giro di qualche minuto arriva l’ambulanza e la porta in ospedale.
Le fanno il test sul coronavirus. È positiva. Bianca è la paziente uno di Bologna.
Per i primi due giorni la curano con tachipirina e antibiotico. Bianca risponde bene alla cure, migliora.
Nel frattempo la madre e i due amici con cui è entrata in contatto sono in quarantena perché presentano sintomi lievi.
È il 5 marzo. Bianca è di nuovo in forze, viene dimessa.
Si chiude nella sua stanza e aspetta. Fa il tampone di controllo. Positivo. Bianca stringe i denti. Passa del tempo. Altro tampone, stesso esito.
Bianca si sottopone a cinque tamponi, sono tutti positivi. È sconfortata, incredula, ma tiene duro.
È il 23 aprile. Arriva l’esito del sesto tampone, Bianca è fiduciosa, spera che qualcosa sia cambiato. L’esito la sconvolge. Positivo.
Sono passati 57 giorni. È sempre stata in quarantena, ha ancora il virus.
“Fisicamente è come se non avessi nulla, proprio zero assoluto. Certo sono debole a volte, ma dopo due mesi chiusa in camera penso sia anche una cosa normale, ma non ho più i sintomi, non ho più febbre. Nonostante questo continuo a risultare positiva. Non ce la faccio più e sto iniziando a spaventarmi, vorrei sapere se tutto questo è normale?”.
Bianca Dobroiu è sotto controllo continuo. Il suo caso è inquietante. Quanto sappiamo di questo maledetto coronavirus? E su quali basi affrontiamo la cosiddetta fase 2?
Lei è Bianca
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