Lei è Amy. Nasce nel 1983 a Enfield, in Inghilterra. Il padre si fa l’amante, saluta la famiglia e se ne va. Amy è distrutta, lo insegue, cerca, vuole il suo amore. Cresce. È una bambina ribelle, allergica alle regole. Salta la scuola, rischia la bocciatura, si buca il naso da sola per mettersi un pearcing. Ha 13 anni. Riceve la sua prima chitarra, inizia a cantare. La sua voce è intensa, travolgente. Conquista un’etichetta discografica. Nel 2003 esce il suo primo album, Frank. Tre anni dopo pubblica Back to Black. Arrivano la fama e il successo. Ma tra concerti e tour, Amy dimagrisce a vista d’occhio. La stampa non le dà tregua. Amy confessa. Soffre di bulimia da quando è adolescente. Non si è mai sentita a posto con il corpo. Sale sul palco, è su di giri, si muove a stento, barcolla. Alcol, droga, cicatrici e tagli sulle braccia. È il 2007. Amy si innamora di Blake, un musicista squattrinato. Carcere, riabilitazione, le ha passate tutte. Gli amici la mettono in guardia, ma Amy pende dalle sue labbra. Si sposano. Lui le offre eroina, cocaina, Amy non si tira indietro. Fuma crack, la riprendono con un telefonino, il video finisce su YouTube. Entra ed esce da centri di riabilitazione. Il padre ricompare, le dice che non ne ha bisogno, meglio che continui a fare i tour e guadagnare. Amy non si regge in piedi. È violenta. Viene denunciata per aver aggredito una fan. Il marito chiede la separazione. Lei cerca di adottare una bambina caraibica. Intanto lavora al terzo disco. Vince ben 5 Grammy Awards. È il 23 luglio del 2011. Amy è sola, davanti al computer, fissa ipnotizzata i video delle sue canzoni. Beve. Viene ritrovata senza vita nel letto della sua casa al numero 30 di Camden Square. Aveva 27 anni. L’autopsia non chiarisce le cause della morte. Qualcuno parla di overdose, altri ipotizzano un cocktail di alcol e farmaci. Un amico urla che Amy non voleva uccidersi. Passa un anno. L’ex marito trova alcuni messaggi scritti da Amy prima di morire. Prepara un cocktail di farmaci e tenta il suicidio.
Lei è Amy
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