Lei è Alessandra. Nasce a Roma nel 1969. È una bambina vivace, vispa. Suona il pianoforte, vive immersa nella musica. È il 1977. Ha 8 anni. Sta saltando sul letto con la sorellina. Alessandra cade, sbatte la testa. Un lampo scuro negli occhi, poi un fischio acuto all’orecchio destro. Il dolore è fortissimo. I genitori chiamano il medico di famiglia. Non è nulla di grave, domani passerà. Alessandra guarda i cartoni. Non sente, alza il volume, ancora, ancora. Silenzio. Si spaventa, ma non dice nulla. Va a letto. La mattina apre gli occhi, la mamma le sta parlando, muove la bocca, ma Alessandra non capisce. Non sento. Corrono in ospedale. Ha la febbre alta, vomita, perde l’equilibrio. È costretta a stare sdraiata, se si alza cade. La ricoverano, le danno un’aspirina al giorno. Passa un mese. L’udito è tornato, Alessandra viene dimessa, ma il problema non è risolto. Sente solo dei rumori, come suoni dallo spazio profondo, le sembra di avere nelle orecchie una piccola orchestra. I genitori cambiano ospedale. È stata curata in modo sbagliato, il suo udito è compromesso, possono solo cercare di salvare il salvabile. La ricoverano. Alessandra è nervosa, si sente come in prigione. Quegli strani suoni sono la sua unica compagnia. Passa qualche settimana. Deve mettere gli apparecchi acustici, non tornerà mai più come prima. Lei li odia, l’unica cosa che le dà sollievo è l’idea di rivedere i compagni. È contenta, ma il ritorno non è come si aspettava. Le amiche la isolano, non vogliono giocare con una mongoloide. Vertigini, mal di testa, vomito. È un tormento. Alessandra piange tra le braccia della mamma. Quando finirà tutto questo? Hai la tua musica, è un dono speciale, sii più forte. Alessandra si asciuga le lacrime, reagisce. L’incidente le ha cambiato la vita, ma lei non ha permesso a nessuno di limitarla. È sposata, ha un figlio, ha due lauree, insegna pianoforte. Alla faccia di tutti quelli che dicevano che una ragazza sorda, ribelle e inquieta come lei, non avrebbe mai combinato nulla.
Lei è Alessandra
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