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La chiesa sbatte le porte in faccia al prete degli ultimi

Don Luca Favarin: la diocesi mi ha trattato come un ladro, ma si tiene stretti i preti che si drogano o vanno con le prostitute.

CATEGORIA

  • Immigrazione, Sociale, Solidarietà

PUBBLICATO IL

  • 19 Dicembre 2022

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Lui è Don Luca Favarin, di Padova, in Veneto.
È il prete dei migranti, degli omosessuali, delle prostitute, dei richiedenti asilo, dei bisognosi di una carezza, di una parola, di un aiuto concreto.
Laureato in Filosofia e Scienze della Formazione, don Luca è stato ordinato sacerdote nel 1988, e da circa vent’anni si sacrifica personalmente giorno e notte per togliere disgraziati dalla strada: drogati, emarginati, disperati.
Nel tempo ha aperto bar, tavole calde, mense, ristoranti, un villaggio per minori non accompagnati.
“La nostra attività deve essere solida, con che cosa pago gli operatori o porto da mangiare ai ragazzi? Con le Ave o Maria?”.
Don Luca ha fondato una cooperativa, che nel 2019 ha registrato un bilancio di 1,7 milioni di euro, soldi reinvestiti nelle attività di accoglienza.
La gestione di queste attività ha creato un solco con la diocesi di Padova, che non ha condiviso libertà imprenditoriale, modalità, e anche certe uscite pubbliche di don Luca a favore dei gay e delle prostitute.
Da qui si è arrivati al provvedimento più drastico: la sospensione a divinis. Don Luca non potrà più celebrare messa, battezzare, confessare, sposare.
“Mi sento come Mosè che, spalle a un luogo diventato di potere e oppressione, guarda in avanti alla ricerca di una terra promessa”.

“Da oltre 20 anni lavoro nell’accoglienza dei migranti. Ho aperto bar, mense, addirittura un villaggio per minori.
Alla diocesi non piace come lavoro con i poveri. Dicono che le mie attività sono troppo imprenditoriali. Mi hanno sospeso.
Io credo che non possiamo aspettare l’elemosina della gente. La nostra attività deve essere solida, solo così si sostiene. Con cosa pago gli operatori? Con Ave o Maria? Come faccio a dar da mangiare ai ragazzi?
È un’attività imprenditoriale? Sì, certo, che però mi permette ogni anno di togliere dalla strada 160 ragazzi e di dargli un lavoro e un casa.
Con la diocesi non ho mai avuto un confronto. In 20 anni non sono mai venuti a vedere quanto sto lavorando per aiutare questi ragazzi. Ormai sono stato estromesso del tutto, la diocesi mi ha allontanato.
Se per aiutare queste persone dovrò rinunciare all’abito talare, state certi che lo farò”.

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