Lui è Vincenzo. Vive a Torre del Greco, si laurea in Ingegneria, poi si trasferisce a Malta. Lavora come arbitro. È pieno di progetti. Sogna di viaggiare, vedere l’India, fare il giro del mondo. È il 2021. Vincenzo Ha 29 anni. Sale in moto, si gusta il vento sul viso, d’improvviso le ruote slittano. Vincenzo perde il controllo. Finisce a terra, dolorante, ma intero. Fa per rialzarsi. Sente il motore di un’auto. È vicina. Troppo. Vincenzo prova un dolore lancinante, poi il buio. Riapre gli occhi. È stato in coma per dieci giorni. Ha vertebre rotte, problemi alla vista, ai polmoni, ce la farà ma la sua vita non sarà più la stessa. Vincenzo allunga la mano sotto il lenzuolo. La sua gamba destra non c’è più. Urla, si dispera, non lo accetta. I giorni scorrono grigi. Vincenzo si sente vuoto. Fissa la finestra. Si aggrappa alle lenzuola, prega. La sua mente è attraversata da un flash. Ripensa ai progetti, alle tante cose che voleva fare e che lo facevano sentire vivo. Non vuole, non può rinunciarci. Vincenzo urla, butta fuori tutta la rabbia. Poi torna calmo, lucido. Inizia la riabilitazione. È dura da morire. Se vuole riprendere a fare sport, la protesi offerta dal sistema sanitario italiano non è sufficiente. Vincenzo è costretto a pagarne una di tasca sua. È felice, ma anche amareggiato. Ogni persona nelle sue condizioni dovrebbe avere la possibilità di tornare a una vita normale, non può essere un lusso per pochi. Al solo pensiero, ha una gran voglia di lottare. Oggi Vincenzo prosegue le cure, ha ripreso in mano i vecchi progetti, e ne ha aggiunti di nuovi. Vuole trovare un modo per garantire protesi di qualità a chiunque ne abbia bisogno. Non vede l’ora di tornare a fare l’arbitro, si sta organizzando per il cammino di Santiago, anche partecipare alle paralimpiadi non gli dispiacerebbe. Dopo l’incidente, niente gli sembra impossibile. Ha trovato dentro di sé una fame primordiale in grado di portarlo oltre ogni ostacolo, di farlo salire anche in cima all’Everest.
.
.