Ero in coma, i medici stavano per staccare la spina: io sentivo tutto, ma non riuscivo a fermarli

Lei è Angèle. Vive in Francia. È sposata, ha una figlia e due bellissimi nipoti. È il 2009. Angèle ha 57 anni. Ha un mal di testa fortissimo, non passa. I medici non sanno che pesci pigliare. Angèle insiste, d’improvviso le gira la testa, non riesce a parlare, neanche a respirare. Tutto si fa buio. Cade a terra. Qualcuno la solleva, poi le infilano un tubo in gola. Dicono che è in coma. Angèle vorrebbe gridare che non è vero, ma il corpo non risponde. Non si muove, vede, ma sente. Il pianto di suo marito le lacera la carne. Passano minuti, giorni, Angèle non lo sa. Non può fare nulla, solo ascoltare. Capisce che è intubata e attaccata a una macchina. Una voce dice che non si risveglierà più. Suggerisce di prenotare un posto al cimitero. Sente i singhiozzi di sua figlia. Cerca di urlare. No, vi prego, io sono viva! Nessuno sente, nessuno capisce. Angèle è disperata. Rischia di impazzire. Intanto i medici vanno avanti per la loro strada. Dicono che bisogna staccare la spina. Il marito si oppone, ma loro insistono, sono sicuri. È una tortura. Angele è esausta. Prega di morire, per davvero. Mamma. È la voce di sua figlia. Sono incinta, vorrei tanto che tu potessi conoscere il tuo nipotino. Piange a dirotto. Angèle vorrebbe stringerla, rassicurarla. Vuole, deve esserci. Sente un tremito. Le sale dall’anima. La figlia urla. Presto, venite, mia madre sta piangendo, non è morta. Angèle ritrova la speranza. Cerca di strappare le catene che la tengono legata. Muove un mignolo, poi emette un sibilo. Io sono viva. I medici sono increduli, fanno tanti esami. Finalmente capiscono. Ha una sindrome neurologica rara. Dovrà conviverci, ma può vivere. Il percorso è lungo. Angèle impara tutto da zero. Dopo un anno torna a casa. Non vede l’ora di abbracciare il suo nipotino e di raccontargli che una lacrima l’ha salvata.